La fotografia scattata delle città italiane in questi giorni è a dir poco desolante: strade deserte e negozi chiusi.
Il coronavirus si è abbattuto come uno tsunami su diverse aree commerciali e ha messo in seria difficoltà i punti vendita fisici, già fortemente indeboliti dall’avvento dell’e-commerce. Diventa quindi fondamentale capire come gestire i contratti di affitto nei negozi di abbigliamento.
Alcune regioni stanno provando a far ripartire lentamente la macchina, programmando un’apertura graduale per alcuni negozi. Molti punti vendita devono comunque fare i conti non solo con i mancati introiti, ma anche con i canoni di locazione che restano in essere e vanno quindi pagati.
Si stima che in Italia oggi ci sono oltre 809.000 negozi affittati su un totale di 1,5 milioni di unità accatastate in categoria C/1, cioè quella dei negozi. Il volume d’affari che ruota intorno ai canoni di locazione è molto alto ed il mercato rischia seriamente di implodere. Nel Decreto Milleproroghe inoltre non è stata confermata la cedolare secca sugli affitti commerciali per i contratti stipulati nel 2020.
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Come gestire i contratti di affitto nei negozi di abbigliamento: le proposte di Giorgio Spaziani Testa
Giorgio Spaziani Testa, presidente di Confedilizia, tramite Twitter ha proposto una serie di interventi per salvaguardare l’intero settore dei commercianti in affitto.
Chiede innanzitutto un intervento economico del Governo, per impedire che centinaia di negozi chiudano per la mancanza di liquidità e quindi per l’impossibilità di pagare i canoni di locale.
Tale situazione mette a rischio gli stessi locatori, tra cui ci sono famiglie e piccoli investitori che hanno proprio nei contratti di affitto un’importante fonte di reddito. Spaziani Testa chiede quindi che i proprietari non paghino l’Irpef o l’Ires, almeno sui canoni non percepiti, e che siano esonerati dall’Imu.
Provare ad intervenire sulla questione è però abbastanza complicato, anche perché la normativa è piuttosto ingessata e risale addirittura al 1978. Nello specifico si tratta della legge 392 che regola i contratti 6+6.
Dilazione del pagamento
Esistono comunque delle possibili soluzioni che consentono al negoziante di onorare i suoi impegni ed al locatario di non perdere il suo introito. Servono ovviamente dei sacrifici da parte di entrambi che, nell’interesse reciproco, devono venirsi incontro.
Una possibile soluzione è la dilazione del pagamento. Se il negoziante non può pagare tutta la cifra per il contratto di locazione, a causa dell’evidente mancanza di liquidità, il proprietario può spalmare, ritardare o dilazionare il pagamento. Tuttavia il locatario deve comunque versare le imposte sulle somme maturate, cioè su quelle previste dal contratto, e non su quelle effettivamente incassate. Così è stabilito dall’articolo 26 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (Tuir).
É comunque consigliabile, per entrambe le parti, tenere traccia scritta degli accordi bilaterali raggiunti ed effettuare pagamenti con sistemi tracciabili per poterli documentare in ogni momento. Alla fine della pandemia i negozianti dovranno studiare attentamente come abbassare i costi fissi per poter disporre di una maggiore liquidità.
Riduzione momentanea del canone di affitto
Altra possibile soluzione è la riduzione del canone d’affitto, evenienza prevista dal decreto sblocca Italia del 2014 (DL 133). La norma prevede l’esenzione da bollo ed imposta di registro per quegli accordi con i quali il locatore accorda una riduzione del canone di affitto.
Tale riduzione può tranquillamente essere momentanea e di conseguenza valutata di volta in volta in base all’evoluzione della pandemia. Ad esempio potrebbe essere protratta fino a maggio e giugno, per poi valutare l’andamento della situazione. In questo modo almeno il locatore evita di versare le imposte sui canoni non percepiti.
L’accordo deve essere firmato su carta libera e rappresenta una scrittura collaterale al contratto originario. Deve inoltre essere registrato all’Agenzia delle Entrate con il modello 69 in forma cartacea non oltre i 20 giorni dalla stipula. Non sono previsti canali telematici, ma si può inviare il modulo compilato e firmato via PEC per conferire valore legale all’accordo e dare un’indicazione tracciabile della data.
Chiudere il contratto
Esiste infine una soluzione estrema se una delle due parti non intende continuare il rapporto: la risoluzione definitiva del contratto. In tal caso subentrano in gioco le regole relative alla risoluzione per mutuo consenso per inadempimento o il recesso per gravi motivi.
Queste situazioni non prevedono l’indennità di avviamento commerciale da parte del locatore nei confronti del conduttore. Ad ogni modo è opportuno registrare la chiusura del contratto presso l’Agenzia delle Entrate, onde evitare che vengano richieste le imposte sui canoni inesistenti alla fine dell’emergenza.
Queste al momento sono le uniche soluzioni possibili da valutare a seconda dei casi e delle necessità di entrambi gli attori, tenendo conto che al momento purtroppo non è possibile fare delle previsioni. L’importante è affrontare il coronavirus con senso civico e con coscienza anche nei negozi, rispettando le leggi e le distanze di sicurezza.
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