Primark, la mosca bianca della moda: “Si può essere etici e sostenibili anche producendo in Asia”

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PrimarkPuò un gigante del fast fashion combinare etica e profitto, rispondendo alle critiche sull’impatto ambientale e sociale? Questa è la domanda che Paul Marchant, CEO di Primark, affronta ogni giorno. Con il suo modello di business unico e strategie mirate il marchio irlandese si difende dagli attacchi, cercando di dimostrare che una produzione responsabile è possibile anche a prezzi accessibili. Vediamo come.

Primark, un modello controcorrente

Nel panorama del fast fashion, Primark emerge come una realtà atipica. Pur producendo principalmente in Asia e mantenendo prezzi bassissimi, l’azienda segue pratiche distintive: trasporto via mare anziché aereo, assenza di vendite online e collezioni pianificate con più di un anno di anticipo per evitare eccessi di magazzino. Queste scelte hanno portato Primark a raggiungere un traguardo storico nell’ultimo esercizio finanziario, superando per la prima volta il miliardo di sterline di utili.

Paul Marchant, in un incontro con la stampa a Dublino, ha sottolineato come queste strategie rendano Primark un caso di successo, pur restando sotto il mirino di associazioni ambientaliste e per i diritti umani. Per rispondere alle critiche il marchio ha avviato iniziative concrete, come la formazione dei coltivatori indiani all’agricoltura rigenerativa e l’educazione delle operaie alla gestione finanziaria. Inoltre conducono controlli regolari sui fornitori per garantire il rispetto degli standard etici e ambientali.

L’etica nella produzione

“Non sono d’accordo con l’idea che non si possa essere etici quando si produce in Asia” afferma Marchant, difendendo il sistema di forniture del marchio. “Con i partner giusti, tutele adeguate e controlli rigorosi, è possibile avere una catena di approvvigionamento affidabile” – ha osservato. Primark si impegna a rispettare il codice di condotta dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, pur riconoscendo che la dipendenza da normative locali in paesi come India, Pakistan e Bangladesh rappresenta una sfida.

Nel 2018 il marchio ha pubblicato un rapporto sulla catena di fornitura, che però si limitava a monitorare le fabbriche di abbigliamento, senza includere i partner a monte. Nonostante gli sforzi, il 97,5% delle emissioni di gas serra è attribuibile ai fornitori, una realtà che Primark sta cercando di affrontare.

Critiche e difese

Una delle accuse più frequenti al fast fashion è l’eccesso di produzione e la conseguente creazione di rifiuti tessili. Paul Marchant respinge questa critica: “Primark non inonda il mercato di prodotti indesiderati. Vendiamo ogni articolo che acquistiamo”. Il 50% delle collezioni si concentra su capi basici, pensati per la quotidianità, rendendo il marchio meno vulnerabile ai capricci della moda.

Fondato nel 1969 in Irlanda con il nome Penneys, Primark ha mantenuto una gestione stabile con solo due direttori nella sua storia: il fondatore Arthur Ryan e l’attuale CEO Paul Marchant. Oggi il marchio è parte del colosso Associated British Foods, opera in 17 nazioni e impiega 80.000 persone.

Espansione globale

Con il suo successo consolidato, Primark punta ad ampliare la propria presenza internazionale. Negli Stati Uniti e in Europa l’azienda mira a rafforzarsi in paesi come Francia, Spagna, Portogallo, Italia e Grecia. Parallelamente ha stretto accordi di franchising per aprire negozi negli Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Bahrein e Qatar entro i prossimi 18 mesi, espandendosi così in un “terzo continente”.

La competitività di Primark si basa su margini estremamente ridotti e su economie di scala, grazie all’acquisto di grandi volumi. A differenza di molti concorrenti come H&M, Zara, Shein e Temu, Primark non vende online. Marchant spiega questa scelta puntando sull’esperienza in negozio: “Le vie dello shopping sono piene di persone che vengono nei nostri punti vendita”.

L’esperienza Primark

Per attrarre clienti il marchio ha diversificato la propria offerta, includendo collaborazioni con brand popolari come Netflix, Disney e Hello Kitty. Nei 453 negozi Primark non si trovano solo abbigliamento e accessori, ma anche prodotti per la casa, caffetterie, brow bar e servizi per la cura della persona. Questo approccio rende i negozi una destinazione per famiglie, con collezioni dedicate a bisogni specifici come l’abbigliamento per donne incinte, persone con disabilità e donne che hanno affrontato il cancro al seno.

Una sfida costante

Pur con tutti gli sforzi Primark si muove in un contesto complesso, cercando di bilanciare le esigenze di mercato con la responsabilità sociale e ambientale. Riuscirà a mantenere questa posizione a lungo? La risposta non è semplice, ma il percorso intrapreso mostra una chiara volontà di innovazione e sostenibilità, senza perdere di vista la propria identità nel mondo del fast fashion.

Con un modello di business unico, una strategia globale e un’attenzione crescente verso l’etica, Primark rappresenta un esempio interessante di come il settore possa evolversi per rispondere alle sfide contemporanee.

Foto: pagina Faceook Primark

Francesco Ferrara
Copywriter e giornalista pubblicista, mi occupo della stesura di articoli relativi al marketing ed alla gestione dei negozi e siti online per negozianti, argomenti sui quali ho maturato una lunga esperienza sul campo con corsi, ricerche e studi specifici.

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