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Collant strappati e t-shirt sporche, tra la Generazione Z spopola il trashed look

Il trashed look rivoluziona la moda con capi imperfetti, segni di usura e uno stile unico che celebra autenticità e sostenibilità.

Tempo di lettura: 3 minuti

C’è stato un tempo in cui il vintage veniva considerato poco più di “usato” di scarsa qualità, associato a bancarelle di mercatini improvvisati. Oggi, invece, il mercato dell’abbigliamento di seconda mano è sinonimo di originalità, cultura della moda e attenzione ai dettagli. Secondo GlobalData, società inglese di analisi, questo settore è in piena espansione: si stima che entro il 2027 possa raggiungere un valore di 10,1 miliardi di sterline, crescendo del 48,9% rispetto ai dati attuali. All’interno di questo macrocosmo del vintage, però, si sta affermando una nicchia ben definita: il “trashed look”, cioè lo stile che celebra l’imperfetto, il vissuto e, spesso, l’estremo. A tal proposito è utile ricordare la diffusione di tendenze “green” come l’up-cycling, cioè il riutilizzo di abiti usati ma di qualità.

Quando le imperfezioni raccontano una storia

Jack e Harrison Edwards, giovani proprietari del 99 Vintage Store di Winchester, spiegano come nel mondo del vintage i difetti dei capi non siano più un difetto. Strappi, macchie di vernice, buchi e rattoppi sono visti come veri e propri segni distintivi che aggiungono carattere e unicità.

Harrison, il più giovane dei due fratelli, chiarisce però i confini di questo trend: non tutte le macchie sono uguali. Una maglietta imbrattata di pittura può essere affascinante, ma una sporca di sugo perde immediatamente il suo fascino. Anche Harry Sims, proprietario del negozio londinese Hartex, concorda: “Non è un lasciapassare per vendere vestiti sporchi. Alcuni segni di usura arricchiscono i capi, ma non vale per tutto”.

Moda e opportunismo: un confine sottile

Il trashed look non si ferma ai negozi di nicchia: privati e grandi brand cavalcano questa tendenza per massimizzare i guadagni, spesso spingendosi al limite del paradosso. Un esempio? Sul mercato si trovano T-shirt strappate e macchiate vendute a prezzi esorbitanti, fino a 2.500 dollari. La cosa più sorprendente? Molti di questi capi sembrano “manipolati ad arte” per apparire vintage, senza avere una reale autenticità.

Ma non sono solo i privati a sfruttare il fenomeno. Gucci, nel 2020, ha fatto scalpore con i suoi jeans sporchi d’erba proposti a 1.200 dollari, e con i collant pre-strappati venduti a 190 dollari. Questi ultimi, andati sold out in breve tempo, sono stati presi di mira dal celebre profilo Instagram @diet_prada, che ironizzava: “Va tutto bene a chiunque abbia pagato 190$ per queste calze?”.

Quando la provocazione supera il buon senso

L’estetica del “rovinato” è arrivata a nuovi estremi. Il marchio Louis-Gabriel Nouchi ha lanciato una linea di capi con finte macchie di sudore stampate strategicamente, venduti tra 150 e 280 sterline. Tuttavia, l’apice della provocazione è stato raggiunto da JordanLuca, brand italo-britannico che ha proposto jeans con chiare chiazze di urina stampate sul cavallo. Il prezzo? Tra i 500 e 600 euro. Una trovata che ha fatto discutere non solo per il suo messaggio provocatorio, ma anche per la cifra, giudicata eccessiva da molti.

Perché il trashed look piace così tanto?

Il trash look, con il suo fascino trasandato e autentico, sta guadagnando sempre più popolarità nel mondo della moda. Ma perché piace così tanto? Forse perché è uno stile che rompe gli schemi, garantendo autenticità e unicità in un mondo, soprattutto quello della moda, che ultimamente sembra un po’ appiattito e che cerca nuove strade. Di seguito le principali motivazioni che hanno consentito a questo stile, indubbiamente originale, di prendere piede nonostante la sua estetica controversa.

Esclusività e unicità

Ogni capo con dettagli imperfetti, come strappi, macchie o segni di usura, è praticamente impossibile da replicare. Questo rende ogni pezzo unico e irripetibile, un modo per distinguersi in un panorama dominato dalla produzione di massa.

Sostenibilità ambientale

In un mondo sempre più attento alla tutela del pianeta, si è fatta largo la sostenibilità ambientale anche nel mondo della moda. Il trash look promuove il riutilizzo e il riciclo di capi già esistenti, riducendo la domanda di nuovi prodotti e, di conseguenza, l’impatto ambientale dell’industria della moda. È una scelta ecologica che abbraccia la filosofia del riuso creativo.

Espressione di personalità

Indossare capi vissuti racconta una storia e comunica autenticità. Questo stile si lega spesso a un’immagine forte e anticonformista, perfetta per chi desidera esprimere la propria personalità attraverso ciò che indossa.

Focus sull’artigianalità

Molti capi del trash look sono personalizzati o riparati a mano, mettendo in risalto la cura artigianale e l’attenzione ai dettagli. Questo aggiunge valore al prodotto, distinguendolo da quelli realizzati in serie.

Il trashed look tra autenticità e opportunismo

Dietro al fascino del trashed look c’è un messaggio profondo: ogni capo porta con sé una storia, un vissuto. Tuttavia, la moda non è mai immune dall’opportunismo commerciale. Ogni nuova tendenza rischia di trasformarsi in un pretesto per gonfiare i prezzi, spingendo i consumatori a pagare cifre esorbitanti per pezzi che, a conti fatti, non raccontano nulla di autentico.

Acquistare vintage non è solo una questione di stile, ma anche di scelta consapevole. Vale davvero la pena investire in capi vissuti… ma non dalla propria vita? Questa domanda resta aperta, mentre il mercato continua a trasformare l’imperfetto in un trend irresistibile.

Foto: Pixabay

Francesco Ferrara
Francesco Ferrara
Copywriter e giornalista pubblicista, mi occupo della stesura di articoli relativi al marketing ed alla gestione dei negozi e siti online per negozianti, argomenti sui quali ho maturato una lunga esperienza sul campo con corsi, ricerche e studi specifici.

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